martedì 27 settembre 2016

Benjamin Netanyahu all'ONU contro la Propaganda ANTI-ISRAELE.


Estratto del discorso del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 22 settembre 2016.


«Dirò una cosa che potrebbe scioccarvi: Israele ha un futuro luminoso, qui alle Nazioni Unite. So che detto da me suona sorprendente, giacché anno dopo anno mi sono scagliato da questo podio contro le Nazioni Unite per la loro ossessiva fissazione contro Israele. E le Nazioni Unite sicuramente si meritavano ognuna di quelle dure parole. 
Per sua disgrazia, l’Assemblea Generale lo scorso anno ha approvato 20 risoluzioni contro lo stato democratico d’Israele e un totale di tre risoluzioni contro tutti gli altri paesi del pianeta. Israele 20, resto del mondo 3. 

Che dire poi di quella barzelletta chiamata Consiglio Onu per i diritti umani, che ogni anno condanna Israele più di tutti i paesi del mondo messi insieme. 

Mentre in varie parti del mondo le donne vengono sistematicamente violentate, uccise, vendute come schiave, qual è l’unico paese che la Commissione Onu sulle donne ha deciso di condannare quest’anno? Indovinato! Israele. 
Proprio Israele, dove le donne pilotano aerei da combattimento, guidano grandi aziende, dirigono università, presiedono – è già successo due volte – la Corte Suprema, e sono state presidenti del Knesset e primi ministri. 

Questo circo continua all’Unesco, l’organismo delle Nazioni Unite incaricato di preservare il patrimonio culturale mondiale. É persino difficile da credere, ma l’Unesco poco tempo fa ha negato il legame di 4.000 anni tra il popolo ebraico e il suo luogo più sacro, il Monte del Tempio (a Gerusalemme): che è assurdo quanto lo sarebbe negare il legame tra la Grande Muraglia cinese e la Cina.

Le Nazioni Unite, nate come una forza morale, sono diventate una farsa morale. (…)

Credo che non sia lontano il giorno in cui noi israeliani potremo contare su moltissimi paesi al nostro fianco, qui alle Nazioni Unite. Lentamente ma inesorabilmente si avvicina alla fine l’epoca degli ambasciatori all’Onu che approvano automaticamente ogni condanna di Israele. 

L’odierna maggioranza automatica contro Israele alle Nazioni Unite mi ricorda l’incredibile storia di Hiroo Onoda, quel soldato giapponese mandato nelle Filippine nel 1944 che visse da solo nella giungla fino al 1974. Per trent’anni Hiroo si rifiutò di credere che la seconda guerra mondiale fosse finita. Mentre stava nascosto nella giungla, i turisti giapponesi nuotavano nelle piscine degli alberghi americani nella vicina Manila. Infine, per fortuna, l’ex comandante di Hiroo fu mandato a convincerlo a uscire dalla macchia. Solo allora Hiroo depose le armi. 
Signore e signori, io vi dico: deponete le armi. La guerra contro Israele alle Nazioni Unite è finita. Forse alcuni di voi non lo sanno ancora, ma sono sicuro che un giorno, in un futuro non troppo lontano, anche voi riceverete dal vostro presidente o primo ministro il messaggio che annuncia che la guerra contro Israele alle Nazioni Unite è conclusa.

Sì, lo so, potrebbe esserci una tempesta prima della calma. 

So che si parla di coalizzarsi contro Israele alle Nazioni Unite entro la fine di quest’anno. Ebbene, data la storia di ostilità dell’Onu verso Israele, qualcuno crede davvero che Israele permetterà alle Nazioni Unite di decidere della nostra sicurezza e dei nostri vitali interessi nazionali? Noi non accetteremo nessun tentativo da parte delle Nazioni Unite di dettare condizioni a Israele. 
La strada per la pace passa per Gerusalemme e Ramallah, non per New York. 

Ma indipendentemente da ciò che accadrà nei prossimi mesi, ho totale fiducia che negli anni a venire la rivoluzione nella posizione di Israele tra le nazioni entrerà finalmente anche in questa sala. In effetti ho così tanta fiducia che prevedo che fra un decennio un primo ministro israeliano verrà su questo podio ad applaudire le Nazioni Unite. Ma voglio chiedervi: perché aspettare un decennio? Perché continuare a calunniare Israele? Forse perché alcuni di voi non si rendono che il pregiudizio ossessivo contro Israele non è solo un problema per il mio paese: è un problema per i vostri paesi. 

Giacché, se l’Onu impiega così tanto del suo tempo nel condannare l’unica democrazia liberale in Medio Oriente, gli resta ben poco tempo per occuparsi di guerre, malattie, povertà, cambiamento climatico e di tutti gli altri gravi problemi che affliggono il pianeta. 
Forse che il milione e mezzo di siriani massacrati traggono qualche beneficio dalle condanne di Israele, quello stesso Israele che ha curato migliaia di feriti siriani nei suoi ospedali, compreso un ospedale da campo che il mio governo ha appositamente eretto sulle alture del Golan al confine con la Siria? (…)


Se le cattive abitudini delle Nazioni Unite stentano a morire, è ancora più difficile che muoiano le cattive abitudini palestinesi. 
Il presidente Abu Mazen ha appena attaccato da questo podio la Dichiarazione Balfour. Sta preparando una causa legale contro la Gran Bretagna per la dichiarazione del 1917, stipulata quasi 100 anni fa. 
Quando si parla di restare bloccati nel passato!
Già che ci sono  palestinesi potrebbero citare in giudizio anche l’Iran per la “Dichiarazione di Ciro” che permise agli ebrei di ricostruire il Tempio di Gerusalemme 2.500 anni fa. 
Anzi, a pensarci bene, perché non condurre un’azione collettiva palestinese contro Abramo per aver acquistato quel pezzo di terra a Hebron dove vennero sepolti 4.000 anni fa patriarchi e matriarche del popolo ebraico? 
C’è poco da ridere, parliamo della stessa assurdità! 
Citare in giudizio il governo britannico per la Dichiarazione Balfour? Ma stiamo scherzando? E voi qui lo prendete sul serio?

Il presidente Abu Mazen ha attaccato la Dichiarazione Balfour perché essa riconosce il diritto del popolo ebraico ad una sede nazionale nella Terra di Israele. Le Nazioni Unite, quando nel 1947 sostennero la creazione di uno stato ebraico, riconobbero i nostri diritti storici e morali nella nostra patria. Eppure oggi, quasi 70 anni dopo, i palestinesi si rifiutano ancora di riconoscere tali diritti: il nostro diritto a una patria, il nostro diritto a uno stato, il nostro diritto a qualunque cosa. 
Questo rimane il vero cuore del conflitto: il persistente rifiuto palestinese di riconoscere lo stato ebraico entro qualsiasi confine. 
Vedete, questo conflitto non è riguardo agli insediamenti. Non lo è mai stato. 
Il conflitto ha imperversato per decenni prima che vi fosse un solo insediamento, quando Giudea e Samaria e Gaza erano completamente in mani arabe. La Cisgiordania e Gaza erano in mani arabe, eppure ci attaccarono più e più volte. E quando abbiamo sgomberato tutti i 21 insediamenti dalla striscia di Gaza, ritirandoci fin dall’ultimo centimetro, non abbiamo ottenuto la pace da Gaza, ma abbiamo ottenuto migliaia di razzi sparati contro di noi da Gaza. 
Questo conflitto infuria perché i veri insediamenti a cui mirano i palestinesi sono Haifa, Jaffa e Tel Aviv. 
Sia chiaro, la questione degli insediamenti è reale, e può e deve essere risolta nei negoziati sullo status finale. Ma questo conflitto non è mai stato sugli insediamenti né sulla creazione di uno stato palestinese. É sempre stato un conflitto sull’esistenza stessa di uno stato ebraico, uno stato ebraico entro qualunque confine. 
Israele è pronto, io sono pronto, a negoziare tutte le questioni relative allo status finale. 
Ma una cosa non negozieremo mai: Il nostro diritto al solo ed unico stato ebraico. Se i i palestinesi avessero detto sì allo stato ebraico nel 1947, non ci sarebbe stata nessuna guerra, nessun profugo, nessun conflitto. 
Quando i palestinesi diranno finalmente sì a uno stato ebraico, potremo porre fine a questo conflitto una volta per tutte.

Qui sta la tragedia. Perché, vedete, i palestinesi non solo sono intrappolati nel passato, ma i loro capi stanno anche avvelenando il futuro. 

Proviamo a immaginare una giornata nella vita di un 13enne palestinese, lo chiameremo Ali. 

Ali si sveglia e prima di andare a scuola si allena in una squadra di calcio che prende il nome da Dalal Mughrabi, una terrorista palestinese responsabile dell’assassinio di 37 passeggeri israeliani su un autobus. 
Una volta a scuola, Ali partecipa a un evento promosso dal Ministero della Pubblica Istruzione palestinese in onore di Baha Alyan, che l’anno scorso ha ucciso 3 civili israeliani. 
Sulla via di casa, Ali alza lo sguardo verso un’imponente statua eretta poche settimane fa dall’Autorità Palestinese per celebrare Abu Sukar, che fece esplodere una bomba nel centro di Gerusalemme uccidendo 15 israeliani. 
Quando arriva a casa, Ali accende la tv e vede l’intervista a un esponente palestinese, Jibril Rajoub, che dice che se avesse una bomba atomica la farebbe esplodere oggi stesso sopra Israele. 
Poi Ali accende la radio e sente un consigliere del presidente Abu Mazen, Sultan Abu al-Einein, che esorta i palestinesi a – cito testualmente – “tagliare la gola agli israeliani ovunque li troviate”. 
Ali dà un’occhiata a Facebook e vede un recente post del partito Fatah, del presidente Abu Mazen, che definisce “un atto eroico” il massacro di 11 atleti israeliani alle Olimpiadi di Monaco. Poi, su YouTube, Ali guarda un video dello stesso presidente Abu Mazen che dice – cito testualmente –: “Diamo il benvenuto a ogni goccia di sangue versata a Gerusalemme”. 
Infine, a cena, Ali chiede a sua madre cosa accadrebbe se lui uccidesse un ebreo e finisse in un carcere israeliano. E lei gli risponde che gli verrebbero pagati migliaia di dollari al mese dall’Autorità Palestinese. Anzi, gli spiega, più ebrei uccidesse, più soldi riceverebbe. E uscendo di prigione, ad Ali verrebbe garantito un posto di lavoro presso l’Autorità Palestinese.

Tutto questo è la pura realtà. Succede ogni giorno, ininterrottamente. 
Purtroppo il nostro Ali rappresenta centinaia di migliaia di ragazzini palestinesi che vengono indottrinati all’odio continuamente, in ogni momento. Un vero e proprio abuso sui minori. 
Immaginate se vostro figlio subisse questo lavaggio del cervello. 
Immaginate che grande sforzo devono fare un ragazzino o una ragazzina per liberarsi da questa cultura dell’odio. Alcuni ci riescono, troppi altri no. 
Come ci si può aspettare che i giovani palestinesi vogliano la pace, quando i loro capi avvelenano le loro menti contro la pace?

Noi in Israele non facciamo tutto questo. Noi educhiamo i nostri figli alla pace. Proprio di recente il mio governo ha lanciato un programma pilota per rendere obbligatorio lo studio della lingua araba per i bambini ebrei in modo che possiamo capirci meglio l’un l’altro, in modo che possiamo vivere insieme fianco a fianco in pace. 

Naturalmente, come tutte le società anche in Israele esistono frange estremiste marginali. Ma è la nostra risposta a quelle frange estremiste che fa la differenza. 

Prendete il tragico caso di Ahmed Dawabsha. Non dimenticherò mai la mia visita ad Ahmed in ospedale, poche ore dopo che era stato aggredito. Un ragazzino, anzi un bambino, gravemente ustionato. Ahmed è stato vittima di un atto terroristico orribile perpetrato da ebrei estremisti. Giaceva fasciato e privo di sensi mentre i medici israeliani si adoperavano senza sosta per salvarlo. Non c’è parola che possa portare conforto a questo bambino o alla sua famiglia. Tuttavia, mentre ero al suo capezzale, ho detto a suo zio: “Questo modo di fare non rappresenta la nostra gente” e ho chiesto delle misure speciali per consentire di trascinare davanti alla giustizia gli aggressori di Ahmed. E oggi quei cittadini ebrei israeliani accusati d’aver attaccato la famiglia Dawabsha sono in carcere in attesa di giudizio. 

Per alcuni, questa storia dimostra che entrambe le parti hanno i propri estremisti e che entrambe le parti sono egualmente responsabili di questo conflitto apparentemente infinito. 
In realtà, ciò che la storia di Ahmed dimostra è esattamente il contrario. 
Dimostra la profonda differenza tra le nostre due società, perché mentre i leader israeliani condannano i terroristi, tutti i terroristi, arabi ed ebrei, allo stesso modo, i leader palestinesi celebrano i terroristi. 
Mentre Israele mette in prigione i pochi terroristi ebrei che si trovano fra noi, i palestinesi pagano i migliaia di terroristi che si trovano fra loro. 

E allora dico al presidente Abu Mazen: dovete fare una scelta. 
Continuare a fomentare l’odio come avete fatto fino ad oggi, oppure finalmente combattere l’odio ed agire insieme a noi per stabilire la pace tra i nostri popoli. (...) »



Discorso integrale: 

testo originale in inglese:



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Sorprendente discorso del Primo Ministro Israeliano all'ONU, in cui ha predetto che Israele verrà accettata dal mondo dopo la "tempesta".
Secondo quanto dice la Bibbia, la predizione è corretta, ma purtroppo Netanyahu si sbaglia riguardo alla natura di quella tempesta.
Non sarà una tempesta diplomatica nelle sale dell'ONU in New York, ma la tempesta sarà la guerra di Ezechiele 38-39, seguita dall'accordo di pace dell'Anticristo di Daniele 9:27, che porterà "la calma dopo la tempesta"...

Continuiamo a pregare per Israele e per Benjamin Netanyahu.